Il nuovo “Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà”

Ad agosto il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato il nuovo Piano Nazionale degli Interventi e dei Servizi Sociali per il triennio 2021/2023 che contiene anche il nuovo “Piano per gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà”, dato che il precedente (riguardava il triennio 2018/2020 ed era il primo per il nostro Paese) è giunto a scadenza. Sono 26 pagine tutte da leggere, con alcune interessanti novità. Roberto Rossini, portavoce dell’Alleanza contro la povertà, lo definisce infatti «un bel passo avanti», in un’intervista rilasciata al sito

Quali sono questi passi avanti rispetto al piano precedente?

Innanzitutto le risorse economiche, quelle su cui poteva contare il Piano precedente erano minori. Questo dipende certamente dal Reddito di Cittadinanza, che dispone di un cospicuo finanziamento, ma c’è anche la parte finanziata con le risorse del PNRR che è interessante: ad esempio le “stazioni di posta” per i senza dimora, che sono di fatto dei Centri servizio per il contrasto alla povertà, sono un effetto del PNRR. Le due novità da menzionare assolutamente sono il Pronto intervento sociale come livello essenziale delle prestazioni sociali il Centri Servizi per il contrasto alla povertà: entrambi sono intuizioni importanti, bisognerà vedere concretamente nella progettazione cosa uscirà e quale sarà il livello di coinvolgimento del Terzo settore. Il Pronto intervento sociale è riconosciuto come LEPS, ossia come livello essenziale delle prestazioni, con rosorse aggiuntive fino a 90 milioni su 3 anni. Il Centro Servizi per il contrasto alla povertà invece ha a che fare con la presa in carico delle persone in condizioni di marginalità, anche al fine di favorire l’accesso integrato alla intera rete dei servizi: persone che hanno bisogno di ascolto, di accoglienza, di orientamento anche rispetto ai servizi. Prevedere nella presa in carico degli standard minimi per le prestazioni, in tutta Italia, è importante: per esempio nel pre assessment è fondamentale, l’Alleanza ci ha sempre insistito tanto, perché ciascuno ha diritto ad avere un progetto su di sé, non una un progetto fotocopia. Un altro aspetto positivo è si parla davvero un linguaggio comune, il Piano parte da lontano e bisogna dire che il confronto con le parti c’è stato, la strada intrapresa dal punto di vista del metodo è stata molto interessante. Nelle riunioni ci si rende conto che c’è molta convergenza da parte di tutti i soggetti rispetto alle cose da fare.

C’è un paragrafo dedicato allo “Stato di attuazione dei livelli essenziali Rdc (valutazione multidisciplinare/patti firmati/sostegni attivati), dato che «la definizione del nuovo Piano non può che partire dallo stato di attuazione di tali livelli essenziali». Al primo marzo 2021, solo meno del 30% dei nuclei beneficiari del Rdc indirizzati ai servizi sociali sono stati presi in carico dai servizi sociali dei Comuni e ancora meno sono i nuclei che hanno definito e sottoscritto con i servizi un patto per l’inclusione sociale. Com’è andata?

Sul Reddito di Cittadinanza come Alleanza abbiamo sempre espresso una valutazione positiva rispetto alla copertura economica e al sostegno alla povertà assoluta, mentre dal punto di vista delle politiche attive del lavoro abbiamo sempre detto che ci sono margini di miglioramento. Come Alleanza stiamo facendo una ricerca su come è stato attuato il RdC, i cui risultati sono stati in parte anticipati a luglio al ministro. L’idea è entrando nei percorsi di inclusione, qualche incertezza ci sia: quindi sui percorsi di inclusione vanno riviste alcune cose, cominciando dalla reintroduzione dei punti unici di accesso del Rei, cosa che dall’analisi preliminare col nuovo Piano dovrebbe esserci, fino a rafforzare l’interrelazione tra le varie piattaforme utilizzate e le banche dati dei vari attori. E poi abbiamo quella ricerca della Caritas che dice che un terzo delle persone in povertà assoluta non riesce ad avere il Reddito di Cittadinanza: c’è quindi un problema che attiene i parametri di accesso, va eliminato il vincolo di 10 anni di residenza per gli stranieri, riportandolo sul più ragionevole livello di 2 anni. Infine, il discorso degli in work benefit, cioè degli incentivi per lavorare, così da evitare la famosa “trappola di povertà”. Abbiamo una normativa che dice che se ti offrono un posto di lavoro non perdi il RdC, viene sospeso. Ma forse non è sufficiente. Siccome i redditi da lavoro sono bassi, la sospensione del RdC non conviene: proviamo allora a immaginare un meccanismo cumulativo, per cui il Reddito di Cittadinanza non viene completamente sospeso a chi accetta un lavoro, perché una quota continua ad essere erogata e va ad aggiungersi al reddito da lavoro, che a quel punto con le due fonti insieme, diventa una cifra interessante.

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